Nel palcoscenico della nostra vita dobbiamo scegliere se essere coprotagonisti di un recital scritto da altri o protagonisti registi della propria storia…. (Simona Baiocco Psicoterapeuta)
Amare il proprio modo di essere non può prescindere dall’accettazione di sé come individuo unico e, in quanto tale, diverso da tutti gli altri; può capitare, però, di convincerci che il nostro essere diversi non sia accettabile dagli altri e che per essere amati dalle persone sia necessario omologarci, pena il sentirsi soli, guardati e giudicati come “una pecora nera in un gregge di bianche”.
Spesso è la nostra storia familiare che ci racconta una realtà alla quale pensiamo di doverci forzatamente conformare; vediamo come questo sia possibile. Ogni sistema familiare si regge su regole implicite ed esplicite che servono principalmente a costruire un proprio equilibrio; i ruoli che vengono assunti da ogni componente del sistema familiare servono a sostenere e rinforzare questo equilibrio. Ciò significa che ognuno di noi nella propria famiglia ha un suo ruolo al quale sente di dover aderire proprio per sentirsi appartenente al nucleo familiare.
Crescendo possiamo sentire che quel ruolo ci va stretto perchè non parla del nostro essere e del nostro sentire, ma di ciò che altri hanno deciso per noi; è a questo punto della nostra crescita che cominciamo a svincolarci dalle figure genitoriali e a cercare la nostra vera natura, la nostra reale identità, costruendo la nostra indipendenza ed autonomia per arrivare a sentirci liberi di essere davvero chi sentiamo nel nostro profondo.
Una volta adulti, può succedere, però, che si fatichi a pensare di poter cambiare liberandosi dai ruoli familiari, sentendosi costretti a doversi conformare per non essere “espulsi” dal sistema familiare, nella convinzione di non essere accettabili nella propria diversità.
In questi casi, il messaggio di fondo che ci diamo è “Non posso essere amato per come sono davvero; se vedessero come sono in realtà non mi vorrebbero più; per sentirmi amato devo continuare ad essere come vogliono e non come voglio io”. Rimaniamo, così, risucchiati nel vortice di un Ricatto affettivo (chiamato anche Ricatto emotivo) impedendoci così di renderci liberi, autonomi ed indipendenti.
Quando siamo dentro una relazione affettiva sana e matura, il nostro vissuto emotivo è libero di essere espresso nel pieno rispetto sia di noi stessi, sia dell’altro; in questi casi se l’altro ci fa una richiesta, ci sentiamo liberi di poter rispondere con assenso o dissenso, secondo la nostra volontà. Quando, invece siamo dentro una relazione affettiva infantile e dipendente, è facile cadere nella trappola del Ricatto affettivo.
Il ricatto affettivo è una forma di manipolazione psicologica nella quale intervengono due persone: una richiedente e l’altra che subisce la richiesta come pressante, vincolante e in dovere di essere accolta, pena la rottura della relazione. Quando si è in presenza di un ricatto affettivo, generalmente si prova una sensazione di disagio e di fastidio, segnale che nella relazione con l’altro c’è qualcosa che non ci fa sentire liberi di Essere e di Fare.
Vediamo cosa succede in noi quando ci facciamo incastrare da un ricatto affettivo e quali sono i vissuti emotivi che lo contraddistinguono.
Alla base di una relazione affettiva dipendente c’è il bisogno dell’Altro e la paura di perdere l’Altro.
Lo stato di bisogno crea un eccessivo e disfunzionale senso del dovere nei confronti dell’Altro che ci fa sentire obbligati a dire SI’ ad ogni sua richiesta (implicita o esplicita) che ci viene rivolta.
Qualora tentiamo di sottrarci alla richiesta, l’Altro risponde con atteggiamenti di pressione che fanno leva sul nostro bisogno dell’altro e sulla nostra paura di perderlo (“Se non lo fai, sei cattivo… non mi ami… mi deludi”) ed ecco arrivare il senso di colpa che, invadendoci, ci costringe ancor di più ad accogliere la pressante richiesta solo allo scopo di cancellare la sensazione di colpa che ci pervade e che ci condanna ad un giudizio estremamente negativo di noi stessi. Il senso di colpa viene così messo a tacere, ma la forte sensazione di disagio resta ad indicarci che non siamo né liberi, né sereni.
La prima cosa da fare, quindi, per porre fine ad un ricatto affettivo è riconoscere e comprendere le nostre emozioni, imparando a gestirle, così da mettere in corto circuito il meccanismo che le innesca e uscire, in questo modo, dal circolo vizioso del ricatto affettivo. In questo modo, potremo costruire un nuovo modo di relazionarci con l’Altro, senza più sentirci obbligati a fare o a essere ciò che fa star bene l’altro, ma non noi stessi. Si tratta, quindi, di operare uno svincolo, passando da una relazione dipendente (infantile) ad una relazione interdipendente (adulta).
Il ricatto affettivo viene vissuto in tutte le forme di relazione basate sulla dinamica della dipendenza, comprese quella tra genitori e figli: in questo caso, il ruolo dell’Altro può essere rivestito da un genitore o dall’intero sistema familiare.
La paura di non essere amato dai propri familiari, di essere espulso dal nucleo di origine, trattato come un traditore può innescare, così, la trappola del ricatto affettivo ogni qual volta si tenta di vivere la propria vita secondo le proprie regole, contravvenendo, quindi, a quelle familiari che ci impongono ad interpretare un ruolo che non vogliamo e non sentiamo aderente a chi siamo nel nostro profondo.
Nel rimanere incastrati in ruoli familiari originari che non ci corrispondono, rischiamo di sviluppare delle problematiche come “tentata soluzione” (disfunzionale) alla sofferenza che il vincolo familiare comporta….. ma la soluzione più funzionale passa, invece, dalla possibilità che ci si dà per svincolarsi dalle dinamiche familiari, uscendo, così, dal groviglio delle aspettative genitoriali e trovando, attraverso un processo di “separazione/individuazione”, la propria libertà di essere.
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