Abbiamo già detto come di fatto non siano le emozioni ad essere negative di per sé, ma il modo in cui le viviamo e le orientiamo che può determinare la loro connotazione; quindi, dopo esserci occupati in un precedente articolo della rabbia, oggi ci occupiamo di conoscere più da vicino la tristezza e di comprendere insieme la sua funzionalità.
Tutte le emozioni hanno una loro importanza ed un ruolo fondamentale nel guidare la nostra esperienza, determinando le nostre scelte ed i nostri comportamenti; le emozioni convenzionalmente definite negative hanno anche la funzione di segnalarci un pericolo, un disagio, una situazione che non ci fa star bene e che va contro il nostro benessere.
L’emozione della tristezza arriva a segnalarci che stiamo vivendo una situazione non adatta a noi, che non ci gratifica, che non ci rende felici; per esempio, si può manifestare per una separazione, per un lutto, ma anche in situazioni in cui l’individuo si può sentire trascurato, non riconosciuto, non compreso. La tristezza ci fa mettere in una posizione di allarme rispetto al futuro, consentendoci di rivedere i nostri comportamenti, le nostre decisioni, tutto ciò che pensiamo possa averci condotto alla situazione di malessere, al fine di operare un cambiamento al servizio del nostro benessere.
La tristezza, così come la gioia, è parte integrante della nostra vita ed esattamente come la gioia ha bisogno di essere condivisa per svolgere appieno la sua funzione. Se proviamo tristezza è perché esiste un impedimento alla realizzazione del nostro benessere. Quanto più intenso sarà il disagio, tanto più importante sarà per noi agire per cambiare la situazione; la tristezza ci permette, così, di riflettere e capire che cosa dobbiamo cambiare della nostra vita. Il poter provare tristezza, quindi, ci dà la possibilità di operare un’azione e di orientarla verso ciò che più ci può far felici.
Attraverso le ferite dell’anima che provocano tristezza possiamo andare nel nostro più intimo profondo e osservare noi stessi. E’ dalla tristezza che impariamo come vivere la nostra vita: non possiamo essere felici se non ci permettiamo di essere tristi. Quindi, si può ben comprendere come la felicità abbia bisogno della tristezza per essere vissuta e come, in realtà, gioia e tristezza siano emozioni complementari e indissolubili piuttosto che nemiche e antitetiche.
La tristezza è quell’emozione che ci permette di entrare in sintonia emotiva con l’altro, accogliendolo in tutte le sue sfumature emotive; è l’emozione della tristezza, infatti, che ci aiuta nella comprensione dell’altro, delle sue sofferenze, permettendoci di provare empatia. Quindi, rimuovere o bloccare la tristezza non risulta essere la strategia migliore per affrontarla e contrasta decisamente con l’opportunità evolutiva e di condivisione che la tristezza stessa ci fornisce.
Se proviamo a vedere la tristezza come emozione normale da accogliere, piuttosto che da combattere, ci rendiamo conto di quanto questa emozione ci accompagni in tutte le fasi del ciclo di vita e in tutti i cambiamenti evolutivi che normalmente viviamo. La tristezza è fondamentale nell’affrontare il cambiamento; ogni cambiamento, infatti, insieme all’ansia per ciò che ancora ignoriamo e non conosciamo, porta inevitabilmente con sé la tristezza per la perdita di ciò che abbiamo lasciato indietro e che, cambiando, abbiamo perso (pensiamo alla tristezza dell’adolescente, per esempio, per la perdita delle sicurezze infantili).
Vivere significa affrontare continuamente cambiamenti e va da sé, quindi, che ogni evoluzione nel ciclo della vita porti con sé tristezza. Così come ogni emozione umana, la tristezza non è problematica di per sé, ma può diventarlo se si cronicizza, se da stato emotivo transitorio diventa tratto distintivo della persona e del suo modo di vivere.
Due sono principalmente i modi in cui la tristezza può essere vissuta: condividendola o ritirandosi in se stessi.
Affrontare la tristezza condividendola permette all’individuo di utilizzarla al servizio del proprio benessere, svolgendo la sua funzione di richiesta di aiuto, consolazione e accudimento; pensiamo, per esempio, alla tristezza che accompagna un lutto e a quanto il riconoscerla, dandole spazio e permettendole di essere condivisa aiuti ad elaborare la perdita reale, dando l’opportunità di risolvere il lutto sperimentando un nuovo modo di vivere l’assenza attraverso la costruzione del ricordo (di cui la tristezza è la principale artefice insieme alla gioia) che ci permette di mantenere in vita dentro di noi chi abbiamo perso rendendoci capaci di guardare avanti nonostante tutto.
Al contrario, affrontare la tristezza ritirandosi in se stessi getta le basi all’isolamento, al ritiro sociale e allo sviluppo di stati depressivi importanti; quindi, è sempre presente la possibilità di passare dalla normalità della tristezza alla patologia della depressione e la linea di confine è rappresentata proprio dalla modalità con cui l’individuo reagisce alla tristezza normale.
Vivere la Tristezza in modo funzionale significa darsi piena libertà nel viverla, senza nasconderla, senza reprimerla, senza distruggerla; al contrario, la tristezza va accolta, sentita, riconosciuta, vissuta. E’ solo attraverso la condivisione che la tristezza può svolgere la sua funzione evolutiva ed adattiva perché imparare a esternare il proprio disagio, per esempio, piangendo, comunicando il proprio malessere è un passo fondamentale per la nostra crescita… perché, in fondo, non esiste crescita senza sofferenza.
Concludo questo articolo con una frase che ha il potere, in pochissime parole, di raccogliere tutto il senso di questa complessa, delicata, fragile e preziosa emozione… “Piangere mi aiuta a calmarmi e a non essere ossessionata dal peso dei problemi della vita” (Tristezza dal film Inside Out)
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