A volte la paura di soffrire ci fa scegliere di vivere senza rischiare, strutturando il nostro tempo in modo prevedibile, schematico e rassicurante.
A volte, invece, è la paura di provare gioia che ci fa scegliere di vivere senza entusiasmo, strutturando il nostro tempo in modo altrettanto prevedibile, schematico e rassicurante.
Sembra paradossale a pensarci, eppure a volte ci muoviamo inconsapevolmente allo stesso modo per evitare di provare queste due emozioni, questi due vissuti così diversi, ma così inscindibili e complementari. In entrambi i casi, infatti, la nostra si rivela essere paura di cadere e di non sapersi rialzare a fronte di una caduta: ci diciamo “Da più in alto cado e più rischio di farmi male; quindi se tengo in alto la guardia e volo basso, il rischio di cadere e farmi male sarà minore”.
La paura di soffrire e la paura di sentirsi felici possono essere raccolte in un’unica grande paura, che spesso con il tempo fagocita tutta la nostra capacità di sentire l’intera gamma delle emozioni umane: la paura di non riuscire ad affrontarla la vita con tutte le sue sfaccettature e sfumature di colore… Paura di Vivere.
Per comprendere meglio cosa sia la paura di vivere e quali sono le sue implicazioni, il cinema, come spesso accade, ci viene in soccorso per aiutarci ed offrirci spunti di riflessione.
Qualche tempo fa ho visto un film di fantascienza dal titolo “Equals” che mi ha fatto riflettere sull’importanza delle emozioni e su quanto spesso gli esseri umani si privino di riconoscerle ed ascoltarle tanto ne sono spaventati, disumanizzandosi e diventando, così, una sorta di automi.
Non vi racconto ovviamente l’intera storia per non rovinare la visione a quanti volessero vedere il film, ma mi limito a introdurne la trama per cogliere quegli aspetti utili a capire a cosa ci serve tentare di “spegnere” le nostre emozioni.
In “Equals” gli esseri umani sono incapaci di provare sentimenti; tale incapacità è stata ottenuta in laboratorio, attraverso delle manipolazioni genetiche, con l’obiettivo di costruire una società stabile, non violenta, controllata e perfetta. Gli esseri umani il cui corpo non risponde adeguatamente alla manipolazione (e quindi ancora in grado di provare emozioni) vengono definiti “malati di sindrome di deviazione” e quindi da curare e da eliminare in caso di totale non rispondenza alla cura. Tutto questo per preservare la sicurezza e la stabilità e per non rischiare di trovarsi di fronte al rischio di situazioni impreviste e reazioni imprevedibili, difficili da gestire e impossibili da controllare.
In effetti la società di “Equals” è ordinata, precisa, asettica, estremamente schematica, senza l’accenno di alcun conflitto o reazione scomposta. Tutti sono uguali, vestiti uguali, tutte le case sono bianche con muri e arredo bianco; regola fondamentale è quella di avere un appartamento per ogni singolo individuo perché, ovviamente, le relazioni umane, l’intimità umana è azzerata, pena il rischio di un risveglio emotivo. Ma per quanto si cerchi di dominarle, le emozioni prima o poi trovano sempre il modo di ritornare a galla e gli “Equals” si ritrovano a provarle senza saperle vivere e gestire, convincendosi sempre di più della loro pericolosità.
La trama di questo film, ci aiuta a capire il motivo che ci spinge a volte a credere che spegnere le emozioni sia il modo migliore di vivere la nostra vita con la convinzione che solo basandoci sull’ordine e sulla prevedibilità saremo in grado di raggiungere la stabilità e l’armonia. E tra la gamma di emozioni umane quelle che più guardiamo con sospetto e che tentiamo sovente di mettere a tacere sono proprio gioia e tristezza perché emozioni intense, in grado di portarci in alto verso la felicità e in basso verso la sofferenza, tempeste emotive capaci di sconvolgere i nostri piani e di scatenare reazioni forti ed improvvise.
E’ così che costruiamo le nostre gabbie mentali, i nostri rigidi schemi fatti di abitudini e di quotidianità intrisa di sequenze di azioni preordinate e prestabilite; in questo modo ci illudiamo di essere pronti ad ogni evenienza e che niente ci coglierà di sorpresa lasciandoci impreparati ad affrontare la vita.
In realtà, questo modo di agire ci fa solamente illudere di proteggerci, perché in fondo, come dico sempre ai miei pazienti, la vita ha molta più fantasia di noi e per quanto possiamo sforzarci di controllare, di prevedere sempre tutto, arriverà sempre il momento in cui la vita ci coglierà di sorpresa, facendoci sentire impreparati… Non si può evitare, prima o poi capiterà.
Essere impreparati non vuol dire essere impotenti, tutt’al più può voler dire essere poco allenati. Questo significa che più ci proteggiamo dalle emozioni, meno ci alleniamo a gestirle ed utilizzarle e più ci rendiamo impotenti di fronte agli eventi della vita che scatenano in noi le tempeste emotive; più, invece, ci esponiamo alle nostre emozioni, più ci alleniamo a gestirle ed utilizzarle e più ci rendiamo potenti di fronte agli eventi della vita stessa, in grado di affrontarli, nutrendo, così, sempre più la stima di noi stessi.
Solamente imparando ad amare noi stessi e a rispettare ciò che sentiamo dandogli voce e riconoscimento possiamo renderci liberi dalla castrante Paura di Vivere e dalla paura di rimanere scottati da tutta la bellezza e l’intenso calore di quella grande avventura chiamata Vita.
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