Quando siamo bambini vediamo in mamma e papà due eroi e non due persone, pensiamo che sappiano tutto, che tutto ciò che dicono e fanno sia giusto a prescindere e che non sbaglino mai: il loro mondo, il loro modo di vedere e di vivere è il nostro e per noi non può esistere altra realtà se non quella che viviamo con loro. Laddove nascono dei conflitti e mamma e papà si arrabbiano o provano dispiacere ce ne attribuiamo la colpa pensando automaticamente che siamo noi ad aver commesso uno sbaglio perchè è impossibile che loro possano sbagliare.
Ma quando cresciamo impariamo a comprendere che anche mamma e papà sbagliano, che anche i nostri genitori sono umani, che sono persone e non divinità. Comprendere l’umanità dei nostri genitori significa capire che anche loro hanno dei limiti, anche loro sbagliano, anche loro non sono perfetti e che il loro modo di vedere ed intendere il mondo non è la verità rivelata, ma è solo la loro verità e non deve essere necessariamente la nostra.
Quando questo succede iniziamo ad individuarci rispetto ai nostri genitori, iniziamo a costruire la nostra strada, il nostro percorso di vita indipendentemente da loro: questo non significa certo fare a meno dei genitori, ma autorizzarsi a muoversi secondo le proprie regole e non più secondo le loro, accettando il rischio, quindi, anche di scontentarli laddove le nostre scelte non incontrino il loro favore e non pretendendo necessariamente il loro consenso o che capiscano per forza le nostre scelte.
In un mondo ideale, tutto “filerebbe liscio come l’olio”: tutti i figli si svincolerebbero facilmente dai loro genitori, tutti i genitori accoglierebbero in modo altrettanto facile l’individuazione dei propri figli, tutti i genitori e tutti i figli vivrebbero in piena armonia accogliendo, comprendendo l’umanità, l’imperfezione e i limiti di ognuno, rispettandosi reciprocamente.
Ma nel mondo reale non è sempre così: ci sono figli che faticano ad individuarsi anche laddove i genitori non ostacolano il loro svincolo e ci sono genitori che, per quanto ci si provi, non sono proprio in grado di accogliere e rispettare le scelte dei propri figli.
Trovare la propria strada, individuarsi, svincolarsi ed assumersi diretta responsabilità e potere sulla propria vita non è facile per nessuno in verità, ma è ancor più difficile in questi due casi:
- Quando i figli continuano a vedere i propri genitori con gli occhi di quando erano bambini, come gli unici detentori della verità assoluta, come divinità da adorare ed idolatrare, come eroi incapaci di sbagliare. In sostanza, l’individuazione di sé diventa estremamente problematica quando i figli non detronizzano i loro genitori e non li fanno scendere dal piedistallo su cui da bambini li hanno sempre visti. Far rimanere i propri genitori a vita sul trono significa non assumersi mai né la responsabilità di ciò che si costruisce, nè il potere di costruire ciò che davvero si vuole.
- Quando i figli, una volta scoperta l’umanità dei propri genitori, non riescono ad accettarla come tale, rimanendo incastrati in un sentimento di rabbia cronica e continua che li acceca impedendogli di perdonare ai propri genitori la loro umanità ed il loro essere imperfetti. In sostanza, l’individuazione di sé diventa una chimera per chi non perdona ai propri genitori di essere scesi dal trono, di non essere più la divinità che guardava con gli occhi di bambino.
I genitori non sono divinità, non sono onnipotenti, non sono perfetti, ma sono esseri umani. Tutti i genitori sbagliano, non esiste il genitore perfetto: anche il genitore più amorevole risulterà mancante in qualche aspetto per il proprio figlio.
Se i figli si rendono capaci di vedere l’umanità dei propri genitori e di accettarla, allora lo svincolo e l’individuazione è possibile; in caso contrario, l’individuazione di sé e la libertà di essere se stessi diventa impossibile.
Ogni figlio si porta dentro delle mancanze rispetto alla relazione con i propri genitori; individuarsi significa perdonare i genitori per gli errori commessi, lenendo così il dolore provocato dalle loro mancanze.
Questo ci fa capire che, una volta adulti, continuare ad avercela con mamma e papà per gli errori commessi non è una soluzione, anzi, diventa uno degli incastri peggiori che ostacolano la costruzione del proprio percorso di vita.
Certamente ci possono essere errori più difficili da accettare (perché se è vero che non esiste il genitore perfetto, è altrettanto vero che non esistono solo genitori amorevoli, ma anche quelli incapaci di amare) e per un figlio avere un genitore che, magari per problematiche personali mai affrontate, non sa dargli amore o gli provoca del male è fonte di grande sofferenza.
Ma anche in questo caso, o meglio, soprattutto in questo caso è necessario, una volta diventati adulti, imparare ad individuarsi, svincolandosi dalla responsabilità/potere delle figure genitoriali per assumersi diretta responsabilità/potere sulla propria vita.
Le ferite del passato e le persone a cui ne attribuiamo “la colpa” possono diventare il più grande ostacolo verso la realizzazione di noi stessi: rimanere incastrati nella rabbia verso chi ci ha ferito diventa come rimanere immobilizzati nelle sabbie mobili, impossibilitati a muoverci e a salvarci.
Fintanto che daremo ad altri la responsabilità dei nostri disagi non potremo mai prendere pieno potere sulla nostra vita.
Le ferite del passato appartengono al passato e sul passato non possiamo agire. Le mancanze che i nostri genitori ci hanno provocato quando eravamo bambini sono responsabilità non certamente nostra, ma proprio per questo non possiamo fare niente per cambiare ciò che è stato; possiamo solo accettare ciò che è stato così come è stato, non possiamo fare altro.
Quando manca l’accettazione di ciò che è stato, il rancore verso chi ci ha fatto del male (consapevolmente o meno) o verso chi non è stato in grado di amarci come avremmo voluto (o come avremmo meritato) diventa nostro compagno di viaggio e ci muoviamo cercando a tutti i costi qualcuno che corra ai ripari, sentendoci in credito nei confronti della vita, pretendendo un risarcimento per ciò che non abbiamo avuto o ci è stato indebitamente tolto.
Ma pretendere che i nostri genitori riempiano le mancanze del passato (E come potrebbero farlo? Dovrebbero essere onnipotenti, ma non lo sono e quindi neanche loro, esattamente come noi possono tornare indietro e cambiare ciò che è stato) o pretendere che altri facciano questo per noi (costruendo rapporti di dipendenza in cui attribuire all’altro un ruolo salvifico) significa non assumersi responsabilità della propria vita.
Una volta adulti, la possibilità di non far sanguinare più le nostre ferite e di riempire le mancanze infantili appartiene a noi soltanto e a nessun altro che a noi stessi; continuare, quindi, a dire “E’ colpa di mia madre se… E’ colpa di mio padre se…” non è certamente la soluzione ai nostri problemi. Anzi, farlo significa continuare a trattarsi da bambini, impossibilitati a costruirsi la propria strada senza avere l’approvazione di mamma e papà.
La nostra vita è nelle nostre mani e viverla eternamente dando la colpa a chi, per propri limiti, ci ha fatto sentire nella nostra infanzia poco amati o a chi ci ha procurato (consapevolmente o inconsapevolmente) dolore non ci consente certamente di orientarla in direzione del nostro benessere. Le mancanze della nostra infanzia possiamo colmarle imparando ad amare noi stessi e a darci tutto il bene del mondo… anche quello che a suo tempo i nostri genitori, pur facendo del loro meglio, magari non hanno saputo darci.
Perché, come diceva Carl Gustav Jung: “La terapia inizia sostanzialmente e realmente soltanto nel momento in cui il paziente vede che non sono più il padre e la madre a intralciarlo, ma è lui stesso, ossia una parte inconscia della sua personalità, che ha assunto e continua a interpretare il ruolo di padre e madre.”
Solo assumendosi diretta responsabilità dei propri incastri affettivi e delle proprie mancanze ci si può assumere anche il potere di affrontarli e superarli per costruire la vita secondo le proprie regole, nel pieno ascolto e rispetto delle proprie necessità e dei propri bisogni, rendendosi così felici.
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