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La Codipendenza affettiva: origine e costruzione di una finta indipendenza

La Codipendenza affettiva: origine e costruzione di una finta indipendenza

In un precedente articolo ho parlato di una forma meno riconoscibile di dipendenza affettiva: la codipendenza affettiva (qui il link all’articolo La sindrome da crocerossina e dell’eroe salvatore: la codipendenza affettiva)

In questo articolo proviamo a conoscere più da vicino questa “forma di dipendenza travestita da indipendenza”, analizzando il modo in cui si gettano le fondamenta della codipendenza affettiva, approfondendo le caratteristiche personali dei codipendenti affettivi e le loro convinzioni rispetto se stessi ed il mondo circostante e comprendendo le modalità con cui costruiscono le loro relazioni affettive e lavorative.

I codipendenti affettivi sono di fatto dipendenti affettivi perché hanno bisogno dell’altro per attribuirsi un valore, ma il loro vuoto d’amore non è così evidente perchè coperto dal ruolo di “salvatori” che si assumono nelle relazioni che costruiscono.  La dipendenza dei codipendenti, quindi, non è essenzialmente l’altro, ma il ruolo di “salvatori” che si assumono nella relazione con l’altro.

Nel costruire le loro relazioni i codipendenti affettivi si affannano ad indossare molteplici “costumi da supereroi” diventando, a seconda delle circostanze e dei bisogni dei loro partners,infaticabili crocerossini”, “magici guaritori”, “onnipotenti salvatori”, “amorevoli genitori”, “sapienti psicologi”…

Va da sé che, per poter fare tutto ciò, i codipendenti affettivi siano inevitabilmente attratti da situazioni problematiche da poter risolvere e persone bisognose di cure e attenzioni da poter guarire/salvare, costruendo inevitabilmente relazioni di dipendenza.

Per essere credibili nel loro ruolo, i codipendenti affettivi si costringono a costruire una corazza impenetrabile attorno ai propri bisogni, apparendo sicuri di se stessi, totalmente autonomi e fortemente indipendenti, pieni di risorse e di forza e privi di qualsiasi debolezza e fragilità. In realtà, quella corazza costruita sapientemente e faticosamente serve a nascondere proprio le umane fragilità con cui i codipendenti affettivi hanno un pessimo rapporto di amore/odio.

Si sentono vuoti, fragili e bisognosi e vorrebbero tanto essere accolti ed amati con tutte le loro umane mancanze, bramano dal desiderio di trovare qualcuno capace di farlo, ma si sono convinti che non esista nessuno in grado di amarli nelle loro debolezze, nessuno che sia disposto ad accoglierli e capace di ascoltare i loro bisogni: questo aspetto li rende di fatto dipendenti affettivi famelici di amore.

Ma i codipendenti affettivi odiano la loro dipendenza, la loro fame d’amore perché li fa sentire inetti, stupidi, sciocchi e, soprattutto, sono convinti che non esista possibilità di saziarla ed allora cercano un modo per non sentire più quella fame così grande costruendo quella corazza di forza, mascherandosi da indipendenti, da persone sicure, che sanno sempre come cavarsela, che non hanno bisogno di niente e di nessuno, da persone che non devono chiedere mai.

Prevalentemente sorridenti, appaiono come persone che non hanno problemi o comunque in grado di risolvere ogni problema possibile, cavandosela benissimo da soli in ogni situazione.

LA FINTA INDIPENDENZA DEI CODIPENDENTI AFFETTIVI

“Faccio tutto da me” “Non ho bisogno di niente” “Non chiedo aiuto a nessuno”

Sono tutte frasi che i codipendenti affettivi pronunciano spesso e volentieri nei loro discorsi.

Il chiedere per i codipendenti affettivi è una vergogna, li fa sentire deboli: far vedere la propria fragilità è inaccettabile perchè fragilità e debolezza per loro sono la stessa cosa. Il loro pensiero è: “Se l’altro vede quanto sono fragile, io perdo potere, divento indifeso, l’altro se ne approfitta e mi annienta”

Questo vuol dire che i codipendenti affettivi non si limitano solo a non chiedere, ma fanno tutto il possibile (ed anche l’impossibile) per fare ogni cosa in completa autonomia, per fare tutto da sé, mal digerendo l’aiuto di chiunque.

Rispetto all’aiuto, infatti, spesso i codipendenti affettivi costruiscono situazioni paradossali nelle relazioni con l’altro: non chiedono niente a nessuno, fanno tutto da soli lamentandosi poi del peso di fare sempre tutto da sé, l’altro a quel punto si attiva per aiutarli e loro prontamente rifiutano l’aiuto dicendo “Non fa niente, faccio da solo”.

Per i codipendenti il fare da sé, l’essere autonomi su ogni cosa ed in ogni situazione equivale al non avere bisogno dell’altro e a non sentire la dipendenza dall’altro e a convincersi di essere indipendenti solo perché totalmente autonomi. 

Ma Autonomia ed Indipendenza non sono affatto la stessa cosa…

L’Autonomia è la capacità di saper e poter Fare le cose da soli.

L’Indipendenza è la capacità di saper e poter Essere se stessi, ovvero saper e poter vivere secondo le proprie regole. tenendo conto del pensiero, delle azioni degli altri, ma non facendosi condizionare da essi.

La libertà di Essere se stessi passa necessariamente per la possibilità di sviluppare la propria Indipendenza, ma i codipendenti affettivi confondono l’Indipendenza con l’Autonomia, pensando erroneamente che basti sviluppare una sana Autonomia per sentirsi e definirsi Indipendenti. Si può, quindi, ben capire che i codipendenti affettivi sono di fatto estremamente autonomi, ma per nulla indipendenti: investono tutte le loro energie nel loro fare sempre da soli, costruendosi la loro autonomia, ma in fatto di indipendenza sono ben lontani dal raggiungerla.

Sempre pronti a caricarsi di tutti i pesi, i codipendenti assumono spesso un atteggiamento presuntuoso nella convinzione di essere i soli in grado di risolvere le situazioni problematiche. In realtà, questo atteggiamento del “Ci penso io!” serve loro per nascondere a se stessi e agli altri le proprie fragilità e di non occuparsene, occupandosi, invece, di quelle altrui.

CODIPENDENZA AFFETTIVA E FAMIGLIA D’ORIGINE

Il loro “fare tutto da sé” ha radici lontane: i codipendenti affettivi spesso, infatti, vengono da famiglie d’origine invischiate ed invischianti legate a dinamiche di dipendenza (affettiva o da sostanze) e con genitori o fratelli o sorelle (o altri familiari) “problematici”, bisognosi di cure o particolari attenzioni.

I codipendenti affettivi, sin da piccoli, hanno imparato a sopravvivere occupandosi del familiare problematico (o a sostegno degli altri componenti familiari), rendendosi visibili ed importanti attraverso la loro utilità come unica possibile soluzione (disfunzionale) al sentirsi invisibile, trascurato o maltrattato.

Per capire meglio come si gettano le fondamenta della codipendenza affettiva, dobbiamo immergerci nel particolare clima emotivo della famiglia in cui i codipendenti affettivi crescono.

I bambini sappiamo essere molto sensibili verso gli stati emotivi dei propri familiari, pronti a carpire ogni sfumatura emotiva, soprattutto quelle che si celano dietro al “non detto”.

Ci sono bambini che hanno una sensibilità più accentuata di altri e che, in presenza di problematiche familiari, sentono di non avere diritto ad esprimere i loro bisogni, rischiando di gravare ulteriormente su una situazione già complicata di suo.

Sono bambini che, come tutti i bambini, hanno bisogno, ma imparano a nasconderlo, a “cacciarlo indietro”; quando vogliono qualcosa non chiedono e se lo fanno (le pochissime volte che lo fanno) si sentono in colpa, di intralcio, di ingombro, immeritevoli di avere l’attenzione dell’altro che, invece, ha altro a cui pensare. Questo, nel tempo, li fa sentire sempre più soli e abbandonati, deboli e tristi.

Sono bambini che sperimentano molto presto uno stato emotivo depressivo importante (a volte con pensieri di morte) dal quale tentano di uscire strutturando l’unica via che sentono possibile: diventare adulti in fretta, per non sentire più quel frustrante bisogno, non rischiando, così, di soccombere

Si può quindi ben capire che quel “Faccio tutto da me senza l’aiuto di nessuno” diventa l’unico modo per salvarsi, uscendo da quello stato depressivo infantile per diventare immediatamente e troppo prematuramente”adulti”, forti, capaci di badare a se stessi.

Per combattere la solitudine emotiva che inevitabilmente si trovano a vivere diventando adulti troppo presto e rinnegando i propri bisogni, imparano a diventare degli aiutanti provetti, i cosidetti “bravi ometti” o “brave signorinelle”, che non danno mai problemi e che addirittura aiutano a risolvere i problemi altrui. 

E’ così che si struttura quel ruolo salvifico dei codipendenti affettivi, come strategia di sopravvivenza ad un baratro affettivo e per non soccombere alla solitudine e alla sofferenza.

LE RELAZIONI (AFFETTIVE E LAVORATIVE) NELLA CODIPENDENZA AFFETTIVA

Come Atlante che sorregge il mondo, i codipendenti affettivi hanno bisogno di sentire che se loro non ci sono crolla tutto; in realtà, la convinzione profonda (ma sapientemente nascosta) è che se smettessero di sorreggere il peso del mondo come Atlante, nessuno li vorrebbe più, nessuno li amerebbe e tornerebbero ad essere invisibili e soli.

Potremmo definire i codipendenti affettivi come “prezzemolini”: la loro esigenza di farsi notare attraverso la loro utilità li fa costantemente mettere in mezzo ad ogni situazione problematica, svolgendo il ruolo di risolutori, di coloro senza i quali sarebbe impossibile andare avanti.

Questo li porta a d avere la costante tendenza a costruire relazioni di dipendenza e a rifuggire da ogni tipo di relazione in cui non poter svolgere il loro ruolo salvifico.

Nei rapporti affettivi (sentimentali ed amicali)  tali soggetti, in età adulta, non fanno altro che ripetere un copione a loro già noto, ricercando persone da salvare come unica forma di relazione conosciuta e possibile. In questi casi, l’aiutare l’altro a venire fuori dal problema diventa per i codipendenti un riempitivo del vuoto emotivo, vissuto come una sorta di rinvincita al fallimento subito nella propria famiglia di origine.

I codipendenti affettivi vivono le relazioni come sfide da combattere e vincere portando l’altro e la relazione verso la salvezza; per questo motivo hanno l’esigenza di sentire di avere il controllo nella relazione, gestendola interamente da sé. Questo vuol dire che il loro ruolo nella relazione sarà quello di “tirare la carretta”, cercando di trascinare il partner e la relazione stessa dove vogliono loro, rincorrendo l’illusione che così potranno avere tutto l’amore di cui necessitano.

Per fare questo, ovviamente, hanno bisogno di trovare partners inadeguati e bisognosi che si lascino gestire e con i quali instaurare un rapporto non alla pari, in cui la parte dei più forti la fanno loro e la parte dei deboli la fanno i loro partners da salvare. Paradossalmente questa “tentata soluzione” gli si ritorce contro come un boomerang, ritrovandosi con partners non adeguati che li fanno sentire sempre più soli ed incompresi e sempre più convinti che non ci sia nessuno in grado di amarli come desidererebbero.

Di fronte alle relazioni fallimentari, i codipendenti affettivi sono incapaci di “battere in ritirata”, ostinandosi a portare avanti la relazione fino allo sfinimento. La difficoltà di uscire da una relazione disfunzionale per i codipendenti sta nell’incapacità di riconoscere il loro vuoto affettivo ed il loro bisogno d’amore, proprio perchè coperto dal bisogno palese del partner problematico prescelto. Le loro relazioni affettive spesso terminano quando trovano qualcun altro da salvare o quando il partner prescelto “guarisce” e se ne va, stanco di essere trascinato. 

Ma non sono solo le relazioni affettive ad essere costruite con questa modalità; anche nelle situazioni lavorative i codipendenti affettivi si muovono allo stesso modo.

In ambito lavorativo, cercano di farsi notare attraverso la loro incessante disponibilità verso gli altri (datori di lavoro e colleghi), cercano sempre qualcuno da aiutare o da far crescere, così da sentirsi importanti, forti, ricercati, un punto di riferimento, insostituibili.

Pur amando fare tutto da sé, i codipendenti affettivi non tollerano lavorare da soli, senza qualcuno da aiutare e che non noti la loro grande disponibilità, senza poter svolgere quel ruolo di guida e sostegno che li faccia sentire utili, necessari e che gli consenta di non entrare mai in contatto con la paura di non essere amati e di restare soli.

I codipendenti affettivi vivono costantemente con il bisogno di essere visti e per questo hanno la tendenza a darsi totalmente agli altri: “Sono ciò di cui tu hai più bisogno” è il loro mantra.

Incapaci di dire di NO, agli altri appaiono sempre disponibili, estremamente generosi ed altruisti. In realtà, il loro darsi sempre e comunque è un atto più egoistico che altruista perchè ha principalmente l’obiettivo di non farli passare inosservati, di poter essere visti dalle altre persone per non sentirsi soli. 

La vita dei codipendenti affettivi è intrisa  di pesantezza e costellata da numerose relazioni fallimentari, cocenti delusioni e molteplici abbandoni e poco propensi a vedere che è proprio il loro modo di muoversi nel mondo e nelle relazioni a costruire tutto ciò.

La sensazione perenne con cui si trovano ad avere a che fare dopo una delusione è la pesantezza di dover ricominciare sempre tutto da capo, senza mai arrivare ad avere ciò che desiderano.

CODIPENDENZA AFFETTIVA E PSICOTERAPIA

Per i codipendenti affettivi pensare di aver bisogno di un aiuto psicologico è estremamente difficile da accettare.

Solitamente cercano aiuto non per se stessi ma per il partner, cercando qualcuno che li aiuti a risolvere una crisi di coppia, presentandosi da soli (e non in coppia) ed assumendo su di sé l’intera salvezza del rapporto; oppure cercano aiuto per capire come poter aiutare il partner in difficoltà dopo vari e vani tentativi fatti in precedenza.

Quando, invece, cercano aiuto per se stessi, lo fanno perché in totale confusione identitaria, con la sensazione di non sapere chi sono e con un carico di pesantezza tale da farli sentire vicini, pericolosamente vicini, al punto di rottura.

La codipendenza affettiva risulta difficile da accettare come forma di dipendenza per le persone che entrano in terapia: sono persone che hanno passato la loro intera esistenza a nascondere le proprie fragilità e sentirsi dire di essere di fatto dei dipendenti affettivi attiva la rabbia come reazione emotiva difensiva.

Il percorso terapeutico dei codipendenti affettivi passa inevitabilmente per la presa di coscienza dei propri vuoti affettivi, dei propri profondi aspetti depressivi e per l’assunzione di responsabilità rispetto alla modalità con cui si muovono nel mondo, costruendo relazioni fallimentari in partenza ed esponendosi a perenni delusioni.

La psicoterapia avrà, quindi, lo scopo di farli entrare in contatto proprio con quelle fragilità da cui rifuggono, per potergli permettere di accoglierle e rispettarle, cominciando, così, a darsi pieno diritto di esistere con tutti i loro bisogni ed imparando a costruire le loro relazioni (affettive e lavorative) alla pari, nel pieno rispetto dei propri bisogni e non più al completo servizio di quelli degli altri, liberandosi dalle catene dalla codipendenza affettiva e ritrovando finalmente se stessi.

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Author Info

Simona Baiocco

Psicologa Clinica e di Comunità - Psicoterapeuta ad indirizzo Strategico Integrato (Adulti - Coppie - Adolescenti - Gruppo) - Iscr. Albo Psicologi Lazio n. 14455

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